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Non è tutto olio quello che luccica

Prima della lettura di questo articolo occorre dare un’informazione preliminare: “il mio olio è il più buono di tutti” è come affermare che esiste Babbo Natale.

Certo, molti ricordano con emozione e simpatia alla letterina da scrivere con la richiesta di regali e alla bellezza dell’attesa, per poi scoprire con tanta delusione che il sogno purtroppo è svanito e resta solo l’amara realtà.

Ecco, questo è quello che accade spesso quando a cena con gli amici, durante un incontro in famiglia o, peggio ancora, quando ci si approccia allo studio del mondo dell’olio da olive si scopre che il “nostro” olio non è affatto il migliore di tutti.

Ma andiamo per ordine e cerchiamo di raccontare cos’è un olio extra vergine di oliva, come lo si più riconoscere e, soprattutto, che l’olio “del signor Mario” che mi ha regalato nella bottiglia di plastica o mi ha venduto al mercatino sotto casa spesso non è altro che una ciofeca.

Dalla “spremuta di olive” possiamo ottenere un “succo” chiamato olio, attraverso un processo di estrazione meccanica (centrifugazione o pressione) che, obbligatoriamente, dobbiamo sottoporre ad analisi chimica e organolettica (di assaggio) per definirne la sua qualità.

In frantoio possiamo ottenere tre tipologie di olio: l’extra vergine, con caratteristiche chimiche definite dalle norme in materia, la più conosciuta è l’acidità (inferiore a 0,8) ma con essa vengono valutati altri parametri chimici; all’analisi sensoriale dev’esserci la presenta di “fruttato”, sensazione olfattiva che ricorda il profumo del frutto sano e integro, oltre alla totale assenza di difetti.

Invece, se il nostro olio presenta dei parametri chimici qualitativamente più bassi e alcuni difetti dal punto di vista sensoriale, dovuti a errori commessi durante le fasi dal campo alla bottiglia, avremo a che fare con un olio “vergine” di oliva, in passato molto presente sul mercato al dettaglio.

Infine, se il nostro olio è stato ottenuto commettendo gravi errori nella fase di raccolta, stoccaggio, estrazione e conservazione, avremo un olio definito “lampante”, denominazione che trae origine dall’antico utilizzo di questo prodotto per l’alimentazione delle lampade ad olio e che non risulta idoneo al consumo umano.

Quest’olio, successivamente sottoposto ad un processo di raffinazione viene miscelato con altri oli (vergine o extravergine) e sarà chiamato “olio di oliva”.

Molto spesso, nel gergo comune e nella comunicazione quotidiana si tende a confondere l’olio di oliva con l’olio extra vergine ma come abbiamo appena scoperto, sono due prodotti profondamente diversi nella loro composizione e metodo di ottenimento.

Così come si sente spesso affermare che il “pizzicorio” dell’olio corrisponde alla sua acidità, concetto profondamente sbagliato, in quanto, l’acidità di un olio non è mai misurabile e percepibile all’assaggio, ma solo attraverso analisi chimica in laboratorio.

E, allora, per scoprire la qualità di un olio, oltre ad avere una fiducia e garanzia nei confronti del produttore e leggere l’etichetta del prodotto, è bene sapere che un olio extra vergine di oliva all’assaggio deve sempre presentare il caratteristico “fruttato” che ricorda all’olfatto il frutto, accompagnato da “amaro” e “piccante”, sensazioni percepibili al gusto, di diversa intensità e che dipendono da numerosi fattori (grado di maturazione del frutto, varietà di olive, modalità di estrazione, etc.).

E il colore dell’olio? Scegliere un olio per il suo colore è come credere a quel signore paffuto con la barba bianca che ci porta i regali sotto l’albero; non a caso, gli assaggiatori utilizzano dei bicchieri blu, rossi o comunque scuri perché il colore non è un parametro utile a definirne la sua qualità.

Quindi, se volete davvero farvi un regalo a Natale, scegliete un olio di qualità e non credete alle favole o ai tanti luoghi comuni, perché a questo punto è molto meglio credere a Babbo Natale.

Auguri!

Articolo pubblicato su “L’edicola del Sud” nella rubrica “Storie di un Fantagronomo” il giorno 22 dicembre 2021

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COSIMO DAMIANO GUARINI

Cosimo Damiano Guarini, dopo sei mesi e quattro giorni di gestazione fa sapere alla sua famiglia che non si può più perdere troppo tempo nel dolce far niente e così il lunedì 8 agosto 1983 mette piede sulla terra.

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