Ma che altro sapete a parte “il vino è rosso?”

Diciamoci la verità, quanti di noi almeno una volta nella vita si sono ritrovati a degustare un vino al ristorante tra amici e dire al cameriere “va bene, è buono”.

Un po’ come la famosa parodia di Antonio Albanese nella versione sommelier che dopo alcuni minuti di degustazione e atteggiamenti esilaranti accompagnati da sottofondi musicali improbabili esordiva con un perentorio giudizio: “è rosso”.

Ma del vino o, meglio ancora, dei vitigni pugliesi cosa sappiamo?

La Puglia da circa un decennio ha visto crescere una grande attenzione verso questo settore con premi e riconoscimenti internazionali, passando per la grande vittoria dei rosati di Puglia; ma cerchiamo di partire dal campo per poi arrivare alla tavola e, magari, dopo qualche sana lettura, divertirci a fare i presunti esperti di vino senza incorrere in brutte figure.

Girovagando per la nostra regione durante il periodo natalizio ricco di luci e profumi ci si imbatte nel fascino del borgo antico di Locorotondo in Valle d’Itria, alla scoperta del Centro di Ricerca Sperimentazione e Formazione in Agricoltura (CRSFA) “Basile Caramia”.

Giungiamo così a Masseria Ferragnano, sede del centro, incastonata tra i vigneti della biodiversità e trulli adibiti a laboratori di ricerca, per scoprire l’ “Atlante dei vitigni tradizionali di Puglia”.

Nella lettura ritroviamo storie che raccontano i vitigni presenti sul territorio regionale, da quelli tradizionali passando per i minori e rari; un patrimonio vegetale che rappresenta un elemento fondamentale dell’identità vitivinicola pugliese e che si traduce in un’offerta di prodotti più o meno variegata.

Con i suoi 80.000 ettari a vigneto da vino, la Puglia presenta un assortimento varietale ampio, con una cinquantina di vitigni distinti in base alla loro diffusione di coltivazione su scala regionale in principali, “minori” (non superano i 100 ettari) e “rari” (al di sotto dei 10 ettari).

Oltre alla superficie di coltivazione, un’altra distinzione importante riguarda il numero di anni di presenza sul territorio, distinguendo i vitigni “tradizionali” coltivati nel territorio regionale da molto tempo da quelli introdotti recentemente negli ultimi 40-60 anni.

E’ interessante scoprire che, se da un lato, la Puglia presenta una discreta biodiversità, dall’altro, presenta una “similarità” tra i vitigni che porta a ritrovare alcuni vitigni pugliesi, come il rinomato “Primitivo”, coltivato anche in alcuni paesi balcanici o in California.

Il “Primitivo”, infatti, è verosimilmente di origine balcanica, così come il “Bombino bianco” trova il suo alter ego nella “Trevolina” slovena e dalmata, quindi, in questi casi non possiamo parlare di vitigni autoctoni del territorio pugliese.

Questa contaminazione ha una motivazione storica, in quanto, i porti sicuri del sud-est d’Italia sono stati per secoli fiorenti scali commerciali lungo le rotte veneziane che lambendo entrambe le sponde dell’Adriatico e dello Ionio interessavano le isole greche e si spingevano al vicino Oriente e nel mar Nero, favorendo la contaminazione culturale e agricola.

In Puglia, quindi, ritroviamo una discreta originalità di vitigni ma non possiamo sempre definirli “autoctoni”, ovvero, “nativi”, cioè che hanno avuto origine proprio in quel luogo; tale definizione è possibile attribuirla con certezza alla “Malvasia di Lecce” (o di Brindisi) che deriva da “Negro amaro” e “Malvasia bianca”, all’ “Uva di Troia”, al “Bombino nero” e all’ “Impigno”.

E’ sempre prudente parlare di vitigni tradizionali o locali pugliesi, più che autoctoni e l’ “Atlante dei vitigni tradizionali di Puglia” ci guida alla scoperta di sinonimi e consanguineità, portando alla luce inesplorate vicende storiche oltre che ad usi e tradizioni del passato.

Che dire, buona lettura, buon viaggio e, ovviamente, “Prosit”.

LINK PER SCARICARE L’ATLANTE: https://www.biodiversitainrete.it/c/artdownload/

Articolo pubblicato su “L’edicola del Sud” nella rubrica “Storie di un Fantagronomo” il giorno 29 dicembre 2021