La sfida per il futuro? La sfida dell’oleoturismo

E’ di questi giorni la pubblicazione del Decreto che regolamenta i requisiti aziendali per sviluppare le attività di “Oleoturismo” in Italia.

Per capirne qualcosa in più abbiamo intervistato chi da tempo ha lavorato e promosso questo nuovo percorso per il mondo dell’olio, il Sen. Dario Stefàno, Presidente della 14° Commissione Politiche dell’Unione Europea del Senato.

Senatore, si sta parlando davvero tanto di oleoturismo, ma quali sono le opportunità per le realtà olivicole? Le opportunità sono tante e diverse e spero che vengano colte in tutta la loro positività così come nei loro molteplici aspetti. Una su tutte, la possibilità per i produttori di ampliare e diversificare il reddito in un’ottica di multifunzionalità e, in tal senso, anche la opportunità di aprire alle attività di carattere turistico-ricettivo, contribuendo attivamente alla qualificazione della nostra offerta turistica in una dimensione identitaria e autoctona. Siamo di fronte ad una occasione di crescita e di sviluppo del settore realmente importante, con ricadute dirette quindi sull’asset del turismo nazionale, che potrà arricchirsi di nuove offerte all’insegna della sostenibilità ambientale e con il plus di essere “covid free”.

Cosa cambierà, quindi, nel mondo dell’olio? Così come è stato per i vignaioli, anche gli olivicoltori avranno la possibilità di affiancare alla produzione vera e propria dell’olio, l’accoglienza, le esperienze negli uliveti, le degustazioni dei magnifici olii italiani. Sono tutte iniziative che si fregiano del risvolto positivo che possono determinare in chiave ambientale e paesaggistica, traducendosi peraltro in una spinta alla crescita anche per l’indotto – creativo, culturale ecc – ad esso collegato. Sono certo che gli olivicoltori si attiveranno per offrire servizi di pari livello alla qualità dell’olio che producono. È una bella sfida perché il livello è elevatissimo, ma sono certo che sapranno cogliere l’importanza della posta in gioco. In tale direzione sarebbe importante che la Regione, da subito, recepisca il dettato normativo nazionale consentendo da subito alle nostre imprese di poter operare al riparo da sanzioni (amministrative e fiscali) e con i benefici introdotti dalla Legge.

Parlando di sfide per il futuro non possiamo non pensare al “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” (PNRR). Quali saranno gli interventi a favore delle imprese del comparto agroalimentare? Va detto che le risorse previste sono importanti: si tratta di circa sette miliardi destinati al settore primario, messi a budget con l’obiettivo di rendere l’agricoltura più competitiva, sostenibile e resiliente. A questa cifra si devono poi sommare i fondi provenienti dai progetti trasversali che incideranno anche sull’agricoltura, come ad esempio gli investimenti nelle infrastrutture di telecomunicazione, di cui potranno beneficiare anche gli agricoltori che vivono nelle zone rurali non raggiunte da internet o coperte dal segnale 4G. L’obiettivo centrale che ci siamo dati nel Pnrr è quello di rafforzare il settore agricolo, rendendolo più competitivo, più capace di adattarsi ai cambiamenti climatici e più sostenibile. Misure ed obiettivi che devono restare integrativi a quelli previsti dai psr. Riguardo agli interventi veri e propri, per citarne alcuni, ricordo il potenziamento dell’agricoltura biologica, lo sviluppo dell’agrisolare per eliminare e sostituire le coperture in amianto, lo sviluppo del biometano e del biogas e l’incentivazione dei contratti di filiera.

Articolo pubblicato su “L’edicola del Sud” nella rubrica “Storie di un Fantagronomo” il giorno 23 febbraio 2022

Quando l’olio diventa una questione “di famiglia”

La Puglia rappresenta una delle regioni più olivicole d’Italia ed è consuetudine in gran parte delle famiglie avere il classico “fazzoletto di terra” e fare il proprio olio che, ovviamente, è il migliore di tutti.

Andando in giro per frantoi è molto frequente trovare piccoli produttori appassionati, produzioni familiari legate alla tradizione del territorio, vacanzieri e turisti che hanno scelto la Puglia per vivere la loro vita a contatto con la natura e che approfittano per produrre il loro olio.

Un patrimonio culturale, sociale e mediterraneo che rappresenta una ricchezza da custodire e valorizzare quello di fare l’olio “in casa”, perché questa passione per l’olivo e l’olio contrasta due temibili problematiche si prospettano all’orizzonte: desertificazione e abbandono della terra.

In questo contesto familiare dell’olio che interessa tutte le famiglie che si appassionano all’arte dell’olivo nell’area del mediterraneo, più di dieci anni fa nasce a Monopoli (Ba) un concorso curioso e molto ambizioso: “Olio di Famiglia”.

L’obiettivo? Valorizzare la produzione dell’olio extravergine di oliva nelle piccole produzioni   agricole familiari, infatti, in concorso è rivolto alle famiglie e a tutti i cittadini che producono l’olio extra vergine di oliva nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e che svolgono una attività diversa da quella dell’agricoltore.

Il modello di agricoltura familiare, infatti, è un sistema di produzione agricolo centrato sul lavoro e sulle capacità dei nuclei familiari che vivono e lavorano la terra. Questo modello, meglio di altri, può scegliere di assicurare un uso sostenibile delle risorse e delle energie e di promuovere un’agricoltura e un’alimentazione legate alle specificità e alle varietà dei territori.

Basti pensare che circa il 70% delle superfici coltivate e delle produzioni agricole nel territorio nazionale sono curate dall’agricoltura familiare.

In questa vasta platea ritroviamo agricoltori dilettanti che per piacere e passione coltivano piante di olivo svolgendo, di fatto, un importante ruolo economico, sociale e ambientale.

“Olio di Famiglia” nasce con l’idea di valorizzare gli oli familiari e, allo stesso tempo, fornire una serie di informazioni utili all’olivicoltore dilettante, al fine di migliorare il proprio olio e rendere più proficuo il proprio lavoro.

Gli oli che prendono parte al concorso sono valutati da una commissione di esperti e vede la partecipazione dell’associazione “Talenti del Gusto”, primo e unico gruppo di assaggiatori professionisti ipovedenti e non vedenti presente in Italia e fondato in Puglia qualche anno fa.

Le analisi chimiche sugli sono affidate al laboratorio Chemiservice, realtà leader del settore e sin dagli inizi a supporto del concorso grazie alla lungimiranza e prezioso altruismo dell’indimenticato dott. Giorgio Cardone.

“Olio di Famiglia” nasce dall’idea dell’Associazione TerraSud presieduta da Mimmo Lavacca e negli anni scorsi il concorso riscuote interesse e partecipazione sempre crescente.

Tra i partners anche COPAGRI Puglia, Olio Officina Festival di Milano e l’azienda agricola Sorelle Barnaba, a testimonianza che la cultura dell’olivo e dell’olio crea aggregazione e condivisione di intenti, per tramandare e custodire una cultura millenaria e identitaria della Puglia.

Il concorso per l’anno 2022 ha come data ultima per la presentazione dei campioni da sottoporre al concorso il 28 febbraio prossimo e per quanti vorrebbero mettersi in gioco per sfatare il mito che “il mio olio è il migliore” possono visitare il sito web www.oliodifamiglia.org per leggere il regolamento del concorso e scoprire la procedura di partecipazione.

Articolo pubblicato su “L’edicola del Sud” nella rubrica “Storie di un Fantagronomo” il giorno 16 febbraio 2022

Everywhere TEW: dallo smartworking il rilancio dei territori

Gravina in Puglia, oramai conosciuta come “Murgia Valley”, ci ha abituato da tempo all’innovazione e nuove tecnologie d’impresa, con una realtà ricca di startup e nuove idee in grado di cambiare il volto dei territori.

L’ultima novità in campo di startup e innovazione si chiama “Everywhere” (https://everywheretew.it), il nuovo mercato degli smart worker che punta a creare una rete di prodotti e servizi per le imprese in grado di far scoprire il territorio e le sue bellezze.

Il progetto vede alla guida due donne imprenditrici, Manuela D’Ecclesiis e Maria Rita Costanza, volto noto per il programma tv “Shark Tank”, esperta di digital innovation e fautrice della rinomata “Murgia Valley” dove si coniugano innovazione, tecnologie IT e nuove sfide per il futuro.

La startup “Everywhere” guarda con attenzione ai nuovi viaggiatori che vogliono conoscere i territori in profondità, vivere la quotidianità dei piccoli borghi per valorizzarli e proteggerli, per trascorrere lì un periodo della loro vita.

In particolare, il progetto punta a coinvolgere gli “smart worker” facendoli dientare cittadini temporanei garantendo loro servizi, spazi di lavoro confortevoli e tecnologici, abbinando a tutto questo sostenibilità, accessibilità, coworking territoriali in grado di generare contaminazione e, soprattutto, offrire ospitalità e scoperta del territorio.

Nell’idea saranno coinvolti e messi in rete tutti i territori italiani, mettendo a disposizione degli smart worker esperienze che coniugano arte e cultura, artigianato, benessere, enogastronomia, innovazione, tecnologia, natura e sport.

Le esigenze di uno smart worker parte dalla necessità di avere connettività con il mondo, spazi di lavoro e condivisione, così da poter vivere il tempo dedicato al lavoro in un ambiente confortevole e privilegiato, per vivere un’esperienza unica nel suo genere e in un contesto territoriale affascinante e stimolante.

La piattaforma everywhere.it mette in rete i territori italiani valorizzando le economie locali in un sistema sinergico e collaborativo, puntando a valorizzare e promuovere il territorio locale nel mercato internazionale.

Allo smart worker e alle imprese che entreranno a far parte della rete verrà data l’opportunità di vivere l’esperienza di un “turismo di profondità” (deep tourism), portando sui territori l’attuazione della tanto ricercata destagionalizzazione dell’ospitalità e generando soggiorni più lunghi da parte dei viaggiatori.

Un mercato, quello dello smart working in forte espansione a livello internazionale, basti pensare che entro il 2022 il 50% di tutti i lavoratori a livello globale opererà da remoto per gran parte del tempo e interessando ben 1,87 miliardi di persone.

Everywhere punta ad intercettare e mettere a sistema le esigenze di questi lavoratori sia con offerte B2C per viaggiatori singoli che con servizi B2B per le imprese, per la fruizione di benefit aziendali, azioni di welfare e bonus per i dipendenti.

Un’idea vincente, in grado di dare linfa vitale ai piccoli borghi, alle aree turistiche più gettonate nei periodi di alta stagione che nei restanti mesi dell’anno vedono azzerarsi i flussi turistici.

La Puglia in questo senso offre grandi opportunità di sviluppo, perché immaginate per un attimo di poter lavorare e vivere un periodo della propria vita vista mare, magari in una splendida masseria o in uno dei borghi rurali pugliesi, respirando l’essenzialità della semplice quotidianità allietata da buon cibo, esperienze enogastronomiche e scoperte culturali e paesaggistiche uniche.

Insomma, una grande sfida che parte dalla Murgia Valley e attende solo una risposta e voglia di fare rete da parte di enti locali e imprese dei settori interessati dal progetto, per dar vita ad un sistema di servizi in grado di reggere il passo con il futuro.

Articolo pubblicato su “L’edicola del Sud” nella rubrica “Storie di un Fantagronomo” il giorno 09 febbraio 2022

Le “Cime di rapa” che fanno impresa

Girando per la Puglia ci si può imbattere in progetti, imprese e idee che fanno comprendere come il mondo del food “made in Puglia” è in continua evoluzione e spesso riserva grandi soprese.

Siamo in Salento e da un’idea dell’Agenzia Formativa Ulisse grazie anche al sostegno della Fondazione “Con il Sud” nasce il Food Truck “Cime di Rapa”.

L’obiettivo dell’agenzia “Ulisse”, uno dei tanti enti di formazione presenti in Puglia, già nel 2017 si pone l’obiettivo di formare ragazzi, provenienti da diverse parti del mondo, integrandoli nel mondo della cucina attraverso lo street food e rispondendo all’esigenza di attuare politiche del lavoro attive per migliorare l’integrazione dei migranti nel mercato del lavoro.

Circa venti ragazzi intraprendono così un percorso formativo professionale per la qualifica di Tecnico di Cucina, per poi approdare in un ristorante didattico al fine di favorire l’inserimento lavorativo, l’inclusione sociale e l’emancipazione economica dei partecipanti.

Il primo “food truck Cime di Rapa” nel 2019 vede a bordo allievi provenienti da India, Bangladesh, Pakistan, Costa d’Avorio, Senegal e Marocco per un viaggio che li vedrà impegnati in diverse piazze pugliesi per proporre piatti tipici regionali.

Dal grande successo itinerante prende vita una nuova idea di ristorazione che prova a coniugare la cucina della tradizione con un servizio veloce e non convenzionale; un modello di ristorazione chiamato “Cime di Rapa – Urban”, un format cittadino per gli allievi che terminato il percorso di studi non hanno la capacità economica di avviare un’attività ristorativa.

I modelli di riferimento sono, da un lato, l’antica trattoria italiana per esprimere la qualità del prodotto a prezzi accessibili e, dall’altro, il “diner americano”, un luogo dall’atmosfera informale, con servizio al banco, al tavolo, da asporto, aperto h24, veloce ed economico.

Nel 2021 nasce a Lecce il primo ristorante “Cime di Rapa – Urban” contemporaneamente si lavora al progetto “Cime di Rapa – Farm”, un modello di ristorazione all’interno di Masserie dotate di orto Biodiverso.

Esempi di “Cime di Rapa – Farm” nascono nella primavera 2021 presso le strutture di Masseria Iazzo Scagno a Martina Franca e Masseria Pepe a Maruggio.

Un’idea che parte dalla formazione in campo agricolo, tra biodiversità e stagionalità, passando per la ristorazione tra street food, farm food e urban food; il tutto, legato da un forte processo di innovazione di prodotto e processo.

La Guida “Street Food 2022” del Gambero Rosso ha premiato “Cime di Rapa” quale “Campione Regionale dei Cibo di Strada” e in questi mesi si pensa già alle prossime aperture del format ristorativo in importanti città italiane, anche grazie all’interesse che diverse imprese stanno mostrando verso questo progetto.

Un modello virtuoso quello messo in campo dall’Agenzia Formativa Ulisse, a dimostrazione che molto spesso l’ambito prettamente formativo lascia il tempo che trova se non viene strutturato in una vera strategia di inclusione e un’educazione al lavoro e all’imprenditorialità.

Il forte legame tra innovazione di prodotto e processo si lega anche alla facile replicabilità del modello di ristorazione semplice, veloce e h24, che vede un supporto costante da parte di diversi professionisti che operano nei diversi settori, come agronomi, biologi, tecnologi alimentari e nutrizionisti.

Potremmo dire, quindi, che “Cime di Rapa” ci fa apprezzare il gusto dell’inclusione, l’essenzialità della tradizione e la grande sfida dell’innovazione, temi molto importanti a rappresentare una Puglia dell’agrifood in costante movimento, in grado di coniugare tecnologie e agroalimentare, in attesa di scoprire il panzerotto virtuale o la brasciola NFC.

Articolo pubblicato su “L’edicola del Sud” nella rubrica “Storie di un Fantagronomo” il giorno 02 febbraio 2022

Tra DAD e Quirinale i ragazzi nelle scuole si preoccupano di tutelare l’ambiente

La politica in questi giorni è impegnata per l’elezione del Presidente della Repubblica, la scuola discute su come contrastare l’emergenza Covid tra DAD e mascherine (i banchi a rotelle sono oramai storia passata, ndr) e gli scienziati ci dicono che per salvare il Pianeta non c’è più tempo da perdere.

In tutto questo i ragazzi, sì, proprio loro, quelli che si sentono dire quotidianamente “voi siete il futuro”, “non ci sono più i ragazzi di una volta”, “oggi i giovani non hanno voglia di imparare”, sono impegnati a studiare il loro futuro, la tutela dell’ambiente e le soluzioni migliori per migliorare la loro comunità.

Nei giorni scorsi, infatti, su iniziativa del Senato della Repubblica sono stati selezionati 33 istituti scolastici italiani per il progetto “Senato & Ambiente” su 90 progetti pervenuti e, tra questi, sono presenti anche due scuole pugliesi, due I.I.S.S.  intitolati all’economista Antonio de Viti de Marco, uno con sede a Casarano (LE) e l’altro con sede a Valenzano (BA).

L’omonimia dei due istituti scolastici forse è un curioso segno del destino, un monito utile ad indicare ai ragazzi che il loro lavoro di studio e ricerca sull’ambiente riguarderà il futuro e l’economia mondiale, quindi, è bene darsi da fare sin da subito per raccogliere le migliori idee utili per realizzare progetti sostenibili dal punto di vista economico e ambientale.

Il progetto “Senato & Ambiente”, promosso negli istituti scolastici di secondo grado su tutto il territorio nazionale porterà gli studenti ad individuare una questione di interesse ambientale, sviluppare un’analisi del contesto, conoscere le realtà economiche locali che operano nel settore, portare avanti un’attività di ricerca, approfondimento e analisi della problematica, al fine di realizzare un documento illustrativo da presentare direttamente nell’aula del Senato.

Ai progetti vincitori, infatti, verrà data la possibilità di redigere un atto di indirizzo, in collaborazione con gli uffici tecnici del Senato, sulla tematica affrontata, per vivere da vicino un’esperienza concreta di cittadinanza attiva.

Tra le scuole premiate nella scorsa edizioni era presente una scuola pugliese, l’I.I.S.S. “G. Salvemini di Alessano (Le) che ha redatto un’indagine conoscitiva sulla “Produzione, utilizzo e smaltimento dell’amianto e malattie ad esso collegate in Salento”.

Per quanto riguarda i lavori dell’attuale edizione di “Senato & Ambiente”, siamo riusciti a raccogliere alcune informazioni relative al progetto che si sta sviluppando presso l’Istituto Tecnico Economico e Tecnologico Statale I.S.S. “de Viti de Marco” che raggruppa le sedi di Triggiano e Valenzano in provincia di Bari, dove le attività di studio e ricerca riguarderanno temi legati all’economia locale e al comparto agroalimentare, con particolare attenzione alla valorizzazione dei sottoprodotti derivanti dalla filiera vitivinicola e olivicola-olearia.

Da una prima analisi condotta dagli studenti, infatti, si è visto che il tema dello smaltimento dei sottoprodotti in queste filiere riveste un ruolo centrale in termini di criticità di gestione da parte delle imprese, con una ricaduta economica e ambientale importante.

Successivamente, con il supporto degli insegnanti e dei laboratori per analisi agro-ambientali, i ragazzi analizzeranno i sottoprodotti derivanti dalle filiere in esame, vinacce, sanse umide e acque di vegetazione, cercando di individuare degli utilizzi alternativi degli stessi in altri settori, al fine di creare valore e costruire una cultura del fare comunità tra imprese, scuole e cittadini.

La bella scuola va raccontata, così come anche la bella politica, temi che offrono una bella immagine del nostro paese, sicuramente molto più di esempi ridicoli come i “voti burla” al Quirinale di questi giorni: da Falcao a Rocco Siffredi, passando per Magalli e Amadeus.

Articolo pubblicato su “L’edicola del Sud” nella rubrica “Storie di un Fantagronomo” il giorno 26 gennaio 2022

Il marchio “Prodotti di Qualità” garantita dalla Regione Puglia

In Italia la regione che da sempre ha fatto del suo territorio un brand di qualità, genuinità, benessere, tradizione e gusto è il Trentino Alto Adige, con la creazione da circa trent’anni del marchio “Trentino”.

La tipicità enogastronomica che fa sistema con le sue ricchezze paesaggistiche, storico-culturali ed enogastronomiche, dando pregio e valore al territorio ma, soprattutto, creando una sinergia tra pubblico e privato utile a portare in alto le qualità di una regione.

Negli scorsi anni anche la Puglia si è data un bel da fare per la creazione di un marchio e la promozione di un “Regime di Qualità Regionale” denominato “Prodotti di Qualità” garantita dalla Regione Puglia.

Un brand che ha visto muovere i suoi primi passi con l’allora Assessore alle Risorse Agroalimentari Enzo Russo nel 2007 e, successivamente, il marchio ha vissuto una crescita comunicativa e di affermazione nelle imprese agroalimentari con il suo successore, l’attuale Sen. Dario Stefàno.

Molte imprese hanno scelto di prestare attenzione a questo marchio, utilizzandolo nel materiale di comunicazione aziendale e in etichetta, cercando di sfruttare tutti gli aspetti positivi che il brand “Puglia” suscita nei consumatori, visto anche il periodo di boom turistico che stava attraversando la nostra regione.

Il marchio “Prodotti di Qualità” garantito dalla Regione Puglia ha lo scopo di valorizzare i prodotti agricoli e alimentari che rispettano un elevato standard qualitativo e controllato al fine di far conoscere ai consumatori le caratteristiche qualitative dei prodotti, garantendone una loro completa tracciabilità.

Ad oggi sono circa 250 i disciplinari di produzione attivi e riguardano diverse filiere agroalimentari, ma non solo queste.

Infatti, ampio spazio è riservato alla filiera florovivaistica, con ben 87 disciplinari di produzione, spaziando dalle erbe aromatiche ai fiori recisi e piante in vaso.

Nella filiera cerealicola e prodotti da forno troviamo i dolci di pasta di mandorla, le farine, pane, pasta, taralli e l’immancabile focaccia.

Molto importante anche l’interesse verso la filiera ittica, dall’anguilla al gambero viola, senza dimenticare ostriche, cozze pelose e le prelibate triglie, utilissime per un prelibato “ciambotto”.

Se guardiamo all’oro bianco, nella filiera lattiero-casearia potremo apprezzare la ricotta forte, il cacioricotta, la scamorza o una gustosa giuncata.

Sull’ortofrutta, poi, c’è l’imbarazzo della scelta tra cime di rapa, caroselli, mandorle, legumi, olive, pomodori e, per la cucina più ricercata, anche lo zafferano.

Oltre al prodotto fresco, potremo allietare la nostra tavola “made in Puglia” anche con i prodotti trasformati, tra pesti, marmellate, confetture, passata di pomodoro e i tanto ricercati sott’oli.

Ovviamente, per un pranzo completo non va dimenticata la carne, dagli insaccati al coniglio e l’agnello, giusto per non farci mancare nulla.

Ogni disciplinare prevede una serie di requisiti che riguardano gli aspetti legati alla produzione, trasformazione, caratteristiche chimiche e organolettiche, passando poi alla commercializzazione e vendita, oltre alle regole in materia di rintracciabilità, controlli ed etichettatura.

Da sempre ci raccontiamo delle potenzialità della Puglia, del suo appeal nel campo turistico ed enogastronomico e, allora, perché non ridare un forte slancio al marchio “Prodotti di Qualità” garantita dalla Regione Puglia, al fine di favorire la possibilità seria di fare “sistema”, aiutare le imprese pugliesi del settore e, anche grazie alle nuove tecnologie, garantire qualità, sicurezza e tipicità vera ai prodotti agroalimentari del “made in Puglia”.

Articolo pubblicato su “L’edicola del Sud” nella rubrica “Storie di un Fantagronomo” il giorno 19 gennaio 2022

Il “Sistema ITS” per l’agroalimentare del futuro

Nel suo discorso di insediamento come Presidente del Consiglio, Mario Draghi fa un esplicito riferimento al sistema “ITS” (Istituti Tecnici Superiori), indicandoli come un “pilastro educativo” fondamentale per il Paese.

Ma cosa sono gli ITS?

Questa sigla non proprio chiara e felice, indica i percorsi di specializzazione tecnica post-diploma che crea figure professionali richieste dal mondo delle imprese e che in altre nazioni europee, vedasi la Germania, costituiscono una realtà importante per la formazione professionalizzante.

Gli ITS sono nati in Italia da circa una decina d’anni e sfornano numeri molto importanti sul fronte dell’occupazione; basti pensare che l’80% degli studenti diplomati in un corso ITS trovano un’occupazione nei mesi successivi al periodo di formazione, che dura circa 2 anni.

Inoltre, cosa non di poco conto, l’occupazione dei diplomati ITS, nella quasi totalità dei casi, è data da un lavoro coerente e in linea con il percorso di studi e, quindi, dimostra l’efficacia del canale formativo nel generare figure professionali richieste dalle imprese e dai territori.

Nonostante ciò, almeno per quanto riguarda alcuni comparti strategici, nonostante l’ampia offerta formativa presente sul territorio, le iscrizioni e la conoscenza del sistema ITS non è molto sfruttato dai neo-diplomati.

In Italia sono presenti ben 116 ITS e operano in aree tecnologiche che spaziano dall’efficienza energetica alla mobilità sostenibile, dalle nuove tecnologie della vita a quelle per il Made in Italy, passando per i beni-attività culturali e turismo, l’informazione e comunicazione.

In Puglia sono presenti 6 ITS, con il settore “Meccanica” a Bari, l’ “Aerospazio” a Brindisi, il “Digital Maker” a Foggia, l’ “Industria dell’ospitalità e turismo” a Lecce, la “Gestione della mobilità e logistica” a Lecce e l’ “Agroalimentare” a Locorotondo.

I corsi sono dislocati sull’intero territorio regionale e nascono dai fabbisogni delle imprese e stakeholders dei diversi settori a seguito della necessità di avere all’interno delle proprie realtà aziendali delle figure tecniche specializzate su tematiche riguardanti l’innovazione, il miglioramento qualitativo e le sfide future che il mercato chiede di affrontare.

Nell’area “Agroalimentare”, ad esempio, l’ITS Agroalimentare Puglia con sede a Locorotondo ha avviato in queste settimane ben 7 corsi, che vedono i partecipanti impegnati in attività tecnico-pratiche e teoriche al fine di formare al termine del percorso di studi dei tecnici in grado di “sapere, saper fare e saper fare bene”.

Il corpo docente è costituito in gran parte da esperti del settore che derivano dal mondo delle imprese e delle professioni, così da dare un taglio didattico che guarda alla praticità e concretezza operativa sui temi affrontati e mettere i corsisti nella condizione di poter subito operare al fianco delle imprese.

Quali sono i costi ITS nel comparto agroalimentare?

Ad Altamura si affronta il tema della “Gestione e promozione dei beni enogastronomici locali”, a Gioia del Colle si parla della “Gestione della multifunzionalità delle aziende agricole”, passando per Castellaneta dove ci si occupa della “Gestione sostenibile delle filiere agroalimentari”, mentre a Manduria si approfondiscono i temi della “Qualità, controlli e certificazioni delle filiere agroalimentari”.

A Bisceglie entrano in gioco le “Tecnologie 4.0 per la transizione digitale delle filiere agroalimentari”, a Copertino si approfondisce la “Gestione biologica delle coltivazioni frutticole” e, infine, nella sede di Locorotondo ci si occupa di “Marketing digitale ed e-commerce dei prodotti agroalimentari”.

Un canale formativo terziario parallelo all’università, centrato sulle finalità di innovazione e per cogliere tutte le opportunità vi invito a visitare il sito www.itsagroalimentarepuglia.it

Articolo pubblicato su “L’edicola del Sud” nella rubrica “Storie di un Fantagronomo” il giorno 12 gennaio 2022

Biodiversità e frutti antichi di Puglia

La diffusione della frutticoltura industriale ha portato nel tempo alla selezione di cultivar (varietà, ndr) fruttifere che sono state selezionate in base a criteri utili al mercato: la facilità di applicazione delle tecniche di coltivazione meccanizzata, la produzione su larga scala, la resistenza alla manipolazione, la compatibilità con i sistemi e i tempi di conservazione e stoccaggio o i criteri estetici e dimensioni dei frutti.

Inoltre, la scelta di varietà provenienti da altri paesi ha portato rapidamente alla scomparsa di numerose varietà locali delle diverse aree italiane e allo stato attuale non si conosce il numero preciso di varietà che in questo modo sono andate perdute ma è prevedibile che andando avanti così, nel giro di pochi decenni, questo patrimonio potrebbe quasi del tutto scomparire e, con esso, gran parte del patrimonio di conoscenze, usi e tradizioni legate all’utilizzazione dei frutti.

In Puglia sono presenti diverse varietà autoctone, in via di estinzione, caratterizzate da un elevato pregio sia per caratteristiche vegetative, sia per aspetti produttivi.

La nostra regione rappresenta una vera e propria miniera inesplorata per il germoplasma autoctono. Basti citare prodotti rinomati e ricercati come i “fioroni Petrelli”, la “ciliegia Capo di Serpe”, gli “agrumi del Gargano” o il “percoco di Turi”, elementi caratteristici del patrimonio frutticolo pugliese.

Spesso si sente parlare di “biodiversità” o “diversità biologica”, ovvero, l’insieme della diversità delle forme viventi di tutte le fonti, per poi giungere alla definizione di “frutti antichi”, ovvero, l’insieme di quei sapori perduti e che attualmente attraggono gli appassionati quanto l’alta ristorazione, sempre alla ricerca di cibi che raccontano testimonianze di vita, cultura materiale legata alla produzione e trasformazione, usi e tradizioni.

Un interessante guida sul tema è l’ “Atlante dei frutti antichi di Puglia” e la Collezione Regionale del Germoplasma Frutticolo custodito presso il CRSFA (Centro di Ricerca, Sperimentazione e Formazione in Agricoltura) “Basile Caramia” di Locorotondo, dove sono presenti ben 1.200 varietà locali: agrumi (50), albicocco (36), ciliegio (67), fico (324), mandorlo (251), melo (32), pero (235), pesco (52) susino (63), fruttiferi minori come azzeruolo, giuggiolo, corniolo, cotogno, gelso e melograno, noccolo e noce (60).

Questo grande patrimonio di biodiversità si lega ad una curiosità terminologica che spesso suscita qualche sorriso, in quanto, i nomi delle varietà autoctone traggono origine dai luoghi della cultura contadina o dai cognomi e soprannomi delle famiglie che si occupavano della coltivazione.

Nomi di antiche varietà coltivate che riecheggiano nella memoria dei nostri nonni e che hanno fatto la storia della nostra agricoltura e della nostra alimentazione.

E, allora, proviamo a fare un piccolo assaggio di questi frutti antichi che scopriremo meglio nei prossimi viaggi e storie di un Fantagronomo.

Partendo dagli agrumi e dal nord della Puglia incontriamo il “Biondo del Gargano”, maggiormente presente in Contrada San Nicola in agro di Vico del Gargano, l’antichissima “Duretta” del Gargano, conosciuta anche in loco come “arancia tosta squacciata” per via della buccia spessa o il “Femminello”, agrume molto antico e raro in Puglia, oggi prodotti riconosciuti e tutelati con il marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta).

Spostandoci nella BAT e parlando di albicocco ritroviamo il “Cibo del paradiso”, varietà di origine sconosciuta e molto apprezzata in passato per le sue ottime qualità organolettiche; sempre nello stesso territorio ritroviamo la varietà “Due maschere”, originaria dei primi del ‘900 e che prende il nome dalle due facce di colore diverso che assume il frutto nella parte esposta al sole.

Questo è solo un piccolo assaggio dei frutti antichi di Puglia, un patrimonio che potrebbe diventare una vera guida per la ristorazione e alimentazione di qualità.

LINK PER SCARICARE L’ATLANTE: https://www.biodiversitainrete.it/c/artdownload/

Articolo pubblicato su “L’edicola del Sud” nella rubrica “Storie di un Fantagronomo” il giorno 05 gennaio 2022

Ma che altro sapete a parte “il vino è rosso?”

Diciamoci la verità, quanti di noi almeno una volta nella vita si sono ritrovati a degustare un vino al ristorante tra amici e dire al cameriere “va bene, è buono”.

Un po’ come la famosa parodia di Antonio Albanese nella versione sommelier che dopo alcuni minuti di degustazione e atteggiamenti esilaranti accompagnati da sottofondi musicali improbabili esordiva con un perentorio giudizio: “è rosso”.

Ma del vino o, meglio ancora, dei vitigni pugliesi cosa sappiamo?

La Puglia da circa un decennio ha visto crescere una grande attenzione verso questo settore con premi e riconoscimenti internazionali, passando per la grande vittoria dei rosati di Puglia; ma cerchiamo di partire dal campo per poi arrivare alla tavola e, magari, dopo qualche sana lettura, divertirci a fare i presunti esperti di vino senza incorrere in brutte figure.

Girovagando per la nostra regione durante il periodo natalizio ricco di luci e profumi ci si imbatte nel fascino del borgo antico di Locorotondo in Valle d’Itria, alla scoperta del Centro di Ricerca Sperimentazione e Formazione in Agricoltura (CRSFA) “Basile Caramia”.

Giungiamo così a Masseria Ferragnano, sede del centro, incastonata tra i vigneti della biodiversità e trulli adibiti a laboratori di ricerca, per scoprire l’ “Atlante dei vitigni tradizionali di Puglia”.

Nella lettura ritroviamo storie che raccontano i vitigni presenti sul territorio regionale, da quelli tradizionali passando per i minori e rari; un patrimonio vegetale che rappresenta un elemento fondamentale dell’identità vitivinicola pugliese e che si traduce in un’offerta di prodotti più o meno variegata.

Con i suoi 80.000 ettari a vigneto da vino, la Puglia presenta un assortimento varietale ampio, con una cinquantina di vitigni distinti in base alla loro diffusione di coltivazione su scala regionale in principali, “minori” (non superano i 100 ettari) e “rari” (al di sotto dei 10 ettari).

Oltre alla superficie di coltivazione, un’altra distinzione importante riguarda il numero di anni di presenza sul territorio, distinguendo i vitigni “tradizionali” coltivati nel territorio regionale da molto tempo da quelli introdotti recentemente negli ultimi 40-60 anni.

E’ interessante scoprire che, se da un lato, la Puglia presenta una discreta biodiversità, dall’altro, presenta una “similarità” tra i vitigni che porta a ritrovare alcuni vitigni pugliesi, come il rinomato “Primitivo”, coltivato anche in alcuni paesi balcanici o in California.

Il “Primitivo”, infatti, è verosimilmente di origine balcanica, così come il “Bombino bianco” trova il suo alter ego nella “Trevolina” slovena e dalmata, quindi, in questi casi non possiamo parlare di vitigni autoctoni del territorio pugliese.

Questa contaminazione ha una motivazione storica, in quanto, i porti sicuri del sud-est d’Italia sono stati per secoli fiorenti scali commerciali lungo le rotte veneziane che lambendo entrambe le sponde dell’Adriatico e dello Ionio interessavano le isole greche e si spingevano al vicino Oriente e nel mar Nero, favorendo la contaminazione culturale e agricola.

In Puglia, quindi, ritroviamo una discreta originalità di vitigni ma non possiamo sempre definirli “autoctoni”, ovvero, “nativi”, cioè che hanno avuto origine proprio in quel luogo; tale definizione è possibile attribuirla con certezza alla “Malvasia di Lecce” (o di Brindisi) che deriva da “Negro amaro” e “Malvasia bianca”, all’ “Uva di Troia”, al “Bombino nero” e all’ “Impigno”.

E’ sempre prudente parlare di vitigni tradizionali o locali pugliesi, più che autoctoni e l’ “Atlante dei vitigni tradizionali di Puglia” ci guida alla scoperta di sinonimi e consanguineità, portando alla luce inesplorate vicende storiche oltre che ad usi e tradizioni del passato.

Che dire, buona lettura, buon viaggio e, ovviamente, “Prosit”.

LINK PER SCARICARE L’ATLANTE: https://www.biodiversitainrete.it/c/artdownload/

Articolo pubblicato su “L’edicola del Sud” nella rubrica “Storie di un Fantagronomo” il giorno 29 dicembre 2021

Non è tutto olio quello che luccica

Prima della lettura di questo articolo occorre dare un’informazione preliminare: “il mio olio è il più buono di tutti” è come affermare che esiste Babbo Natale.

Certo, molti ricordano con emozione e simpatia alla letterina da scrivere con la richiesta di regali e alla bellezza dell’attesa, per poi scoprire con tanta delusione che il sogno purtroppo è svanito e resta solo l’amara realtà.

Ecco, questo è quello che accade spesso quando a cena con gli amici, durante un incontro in famiglia o, peggio ancora, quando ci si approccia allo studio del mondo dell’olio da olive si scopre che il “nostro” olio non è affatto il migliore di tutti.

Ma andiamo per ordine e cerchiamo di raccontare cos’è un olio extra vergine di oliva, come lo si più riconoscere e, soprattutto, che l’olio “del signor Mario” che mi ha regalato nella bottiglia di plastica o mi ha venduto al mercatino sotto casa spesso non è altro che una ciofeca.

Dalla “spremuta di olive” possiamo ottenere un “succo” chiamato olio, attraverso un processo di estrazione meccanica (centrifugazione o pressione) che, obbligatoriamente, dobbiamo sottoporre ad analisi chimica e organolettica (di assaggio) per definirne la sua qualità.

In frantoio possiamo ottenere tre tipologie di olio: l’extra vergine, con caratteristiche chimiche definite dalle norme in materia, la più conosciuta è l’acidità (inferiore a 0,8) ma con essa vengono valutati altri parametri chimici; all’analisi sensoriale dev’esserci la presenta di “fruttato”, sensazione olfattiva che ricorda il profumo del frutto sano e integro, oltre alla totale assenza di difetti.

Invece, se il nostro olio presenta dei parametri chimici qualitativamente più bassi e alcuni difetti dal punto di vista sensoriale, dovuti a errori commessi durante le fasi dal campo alla bottiglia, avremo a che fare con un olio “vergine” di oliva, in passato molto presente sul mercato al dettaglio.

Infine, se il nostro olio è stato ottenuto commettendo gravi errori nella fase di raccolta, stoccaggio, estrazione e conservazione, avremo un olio definito “lampante”, denominazione che trae origine dall’antico utilizzo di questo prodotto per l’alimentazione delle lampade ad olio e che non risulta idoneo al consumo umano.

Quest’olio, successivamente sottoposto ad un processo di raffinazione viene miscelato con altri oli (vergine o extravergine) e sarà chiamato “olio di oliva”.

Molto spesso, nel gergo comune e nella comunicazione quotidiana si tende a confondere l’olio di oliva con l’olio extra vergine ma come abbiamo appena scoperto, sono due prodotti profondamente diversi nella loro composizione e metodo di ottenimento.

Così come si sente spesso affermare che il “pizzicorio” dell’olio corrisponde alla sua acidità, concetto profondamente sbagliato, in quanto, l’acidità di un olio non è mai misurabile e percepibile all’assaggio, ma solo attraverso analisi chimica in laboratorio.

E, allora, per scoprire la qualità di un olio, oltre ad avere una fiducia e garanzia nei confronti del produttore e leggere l’etichetta del prodotto, è bene sapere che un olio extra vergine di oliva all’assaggio deve sempre presentare il caratteristico “fruttato” che ricorda all’olfatto il frutto, accompagnato da “amaro” e “piccante”, sensazioni percepibili al gusto, di diversa intensità e che dipendono da numerosi fattori (grado di maturazione del frutto, varietà di olive, modalità di estrazione, etc.).

E il colore dell’olio? Scegliere un olio per il suo colore è come credere a quel signore paffuto con la barba bianca che ci porta i regali sotto l’albero; non a caso, gli assaggiatori utilizzano dei bicchieri blu, rossi o comunque scuri perché il colore non è un parametro utile a definirne la sua qualità.

Quindi, se volete davvero farvi un regalo a Natale, scegliete un olio di qualità e non credete alle favole o ai tanti luoghi comuni, perché a questo punto è molto meglio credere a Babbo Natale.

Auguri!

Articolo pubblicato su “L’edicola del Sud” nella rubrica “Storie di un Fantagronomo” il giorno 22 dicembre 2021